Cascate delle Marmore
lago di Piedilugo
mummie di Ferentillo

LUOGHI DA VISITARE

Cascate delle Marmore
lago di Piedilugo
mummie di Ferentillo

LUOGHI DA VISITARE

Cascate delle Marmore
lago di Piedilugo
mummie di Ferentillo

LUOGHI DA VISITARE

La cascata delle Marmore è formata dal Velino nei pressi di Terni (a circa 7 km dal capoluogo di provincia umbro), quasi allo sbocco della Valnerina. A flusso controllato, è la più alta cascata artificiale d’Europa e tra le più alte del mondo, potendo contare su un dislivello complessivo di 165 m suddiviso in tre salti. Il nome deriva dai sali di carbonato di calcio presenti sulle rocce e simili a marmo bianco. Fa parte del parco fluviale del Nera.
Nei pressi della frazione di Marmore, il Velino defluisce dal lago di Piediluco e si tuffa nella sottostante gola del Nera formando le cascate.L’acqua della cascata delle Marmore è utilizzata per la produzione di energia idroelettrica. Normalmente solo una parte dell’acqua del fiume Velino (portata media 50 m³/s) viene deviata verso la cascata (circa il 30%, equivalenti a circa 15 m³/s). La cascata non è dunque sempre aperta a pieno regime. Quando è aperta a flusso minimo, la cascata scopre le rocce e la vegetazione sottostante.

Un segnale acustico avvisa dell’apertura delle paratoie di regolazione, e in pochi minuti la portata aumenta fino a donarle l’aspetto conosciuto. L’accesso al parco è possibile dal basso (belvedere inferiore) e dall’alto (belvedere superiore) con pagamento di un biglietto. Diversi sentieri percorrono il parco ed è possibile andare a piedi tra i due belvedere, sia in salita che in discesa.

Di notte la cascata è sempre illuminata da un evoluto impianto a led di ultima generazione, che garantisce un fascio di luce ed una illuminazione uniforme.

Flora e fauna
La flora e la fauna in corrispondenza delle cascate è tipica della macchia mediterranea. La cascata si contraddistingue per la straordinaria ricchezza biologica. Numerosi sono i vegetali che appartengono sia a forme primitive (alghe azzurre e verdi, muschi, epatiche e licheni), sia ad organismi evoluti come i macromiceti; le piante vascolari acquatiche e quelle terrestri (felci e piante con fiori). A queste presenze botaniche vanno aggiunte le numerose specie zoologiche appartenenti ad insetti, anfibi, pesci, rettili, uccelli e piccoli mammiferi.

L’importanza di questa biodiversità è testimoniata dal fatto che l’area del parco della Cascata delle Marmore è stata riconosciuta a livello europeo come SIC (SIC) e Zona di protezione speciale (ZPS) della Rete Ecologica Europea Natura 2000.[2] Sono presenti specie di uccelli rari o addirittura unici in Italia. Alcuni esempi: Il Merlo acquaiolo e la Ballerina gialla che si alimentano lungo le sponde e nel letto del Nera; il variopinto Martin pescatore che si può osservare durante le migrazioni invernali; la Rondine montana e il Passero solitario che nidificano nelle nude pareti rocciose e la Ballerina bianca che costruisce il nido di fango sotto i tetti delle case prossime alla cascata; l’Usignolo che abita la vegetazione igrofila; la Gallinella d’acqua e il Germano reale.

La cascata delle Marmore è inserita nella rete dei Centri di Educazione Ambientale (CEA) della Regione Umbria.

Grotte
L’acqua, con il passare dei secoli, ha scavato grotte con stalattiti e stalagmiti nel travertino. Alcune grotte sono visitabili e rappresentano un aspetto ancora poco conosciuto della cascata delle Marmore.

Parco della Cascata
L’area della Cascata delle Marmore è attrezzata con sentieri di visita, Centro di Educazione Ambientale e servizi. È possibile svolgere visite guidate e attività outdoor gestite da personale qualificato. L’accesso all’area è a pagamento e l’apertura del Parco avviene ad orari variabili a seconda della stagione

Accessibilità
Il belvedere inferiore si trova lungo la strada statale 209 Valnerina ed è collegato alla viabilità autostradale dallo svincolo “Valnerina” della superstrada Rieti-Terni. È servito da una fermata autobus dove transitano varie autolinee che lo collegano alla stazione ferroviaria di Terni: la linea urbana diretta 7/ Terni-Cascata, la linea urbana 7 Terni-Torre Orsina, e la linea extraurbana 621 diretta ad Arrone, Ferentillo, Montefranco, Scheggino.

Il belvedere superiore è invece raggiungibile tramite lo svincolo “Marmore” della superstrada Rieti-Terni; è servito da trasporto pubblico con la piccola stazione di Marmore, posta lungo la ferrovia secondaria Terni-L’Aquila, e con una fermata degli autobus dove transita la linea extraurbana 624 Terni-Colli sul Velino.

Il lago di Piediluco si trova nell’Italia centrale: sulle sue rive sorge il paese di Piediluco, frazione di Terni. Collocato alle propaggini sud-orientali dell’Umbria, con un ramo che sconfina nel Lazio, il lago di Piediluco, pur con un’ampiezza di 1,85 km², può essere considerato il più grande bacino lacustre naturale della regione dopo il Trasimeno. Il nome sembra potersi interpretare come “ai piedi del bosco sacro”. Insieme ai laghi Lungo, di Ripasottile e di Ventina situati in provincia di Rieti, rappresenta uno dei resti dell’antico Lacus Velinus, grande bacino di origine alluvionale venutosi a formare a partire dal Quaternario.

Di forma irregolare con un perimetro di circa 13 chilometri, il lago si trova ad un’altitudine di 375 metri, con una profondità massima attestata sui 19 metri. Il suo immissario naturale è il rio Fuscello, gli altri due immissari sono invece rappresentati da canali costruiti dall’uomo, uno che lo collega al fiume Velino, l’altro che fa convogliare nel lago una porzione di acqua derivata invece dal fiume Nera, lungo ben 42 chilometri. Si può tranquillamente affermare che l’afflusso ed il deflusso delle sue acque è completamente regolato per il fabbisogno energetico delle industrie della vicina Terni. L’emissario, cioè il fiume Velino, è deviato verso Marmore dove si getta nel fiume Nera formando la cascata delle Marmore.

Storia
Sembra che in epoca protostorica e romana il lago fosse chiamato “Septem Aquae”, con riferimento ai sette bracci che formano il lago[2]. Dionigi di Alicarnasso riporta una località chiamata “Sette Acque” presso Marruvium, città degli Aborigeni (mitologia), e compresa tra questa e Terni. La posizione topografica delle “Sette Acque” viene ribadita in un episodio storico risalente al 54 a.C. I Ternani lamentavano che le piene del fiume Nera spesso sommergevano i loro campi. Cicerone, chiamato a difesa dei Reatini per sedare la disputa, venne condotto dall’amico Assio in località Septem Aquae, presso l’emissario romano.

Il Lago di Piediluco, come è noto, è anche il luogo di ritrovamento di un importante ripostiglio dell’età del Bronzo finale (XII-XI secolo a.C.)[5]. Tutto il materiale rinvenuto, oggi conservato nel Museo Pigorini di Roma, è costituito da coltelli e fibule frammentarie, scalpelli e falcetti frammentari di bronzo, punte di lancia frammentarie, asce ad alette intere o frammentarie in bronzo. Inoltre vennero alla luce spade, morsi equini, falci, scalpelli, ruote di un carretto ed i frammenti di un tripode di origine cipriota. La presenza di questo ripostiglio lungo la linea di costa del lago ha fatto ipotizzare un abbandono improvviso avvenuto nella prima età del Ferro, dovuto forse ad eventi “drammatici” o bellici, come lascerebbe supporre il mancato recupero di ben tre di questi ripostigli. Si tratterebbe quindi di tesoretti, interrati per il timore di una minaccia e non più recuperati. Gli oggetti in bronzo rotti e non più utilizzabili vennero verosimilmente raccolti per essere rifusi. Alcuni di questi reperti, di produzione egea, sembrano confermare inoltre la presenza di etnie pelasgiche in territorio reatino nell’età del Bronzo, come riportato da Dionigi.

La Cava Curiana, caratterizzata da una debole pendenza, col tempo finì per ostruirsi e nel Medioevo la pianura reatina tornò di nuovo ad impantanarsi. Dopo alcuni tentativi falliti, nel 1601 venne aperto finalmente un nuovo emissario, noto come Cava Clementina (attivo ancora oggi) che permise di bonificare circa 5.400 ettari di terreno paludoso. La pendenza dell’alveo imprime alle acque la velocità di oltre 2 metri al secondo, tale da renderne impossibile tanto la sedimentazione quanto l’azione incrostante. Nei primi decenni del Novecento la crescente domanda di forza motrice da parte delle industrie ternane portò alla realizzazione di un progetto di gestione delle risorse idroelettriche del Lago di Piediluco. Questo lago è caratterizzato oggi dalla presenza di ben tre immissari, di cui uno soltanto naturale. Gli altri due sono canali artificiali, realizzati dalla Società Terni tra gli anni ’20 e gli anni ’30 per la produzione di energia idroelettrica. Il primo è lungo circa 400 metri, mentre il secondo (Canale Medio-Nera) ben 42 km (quasi tutti in galleria).

Il Museo delle mummie è un museo situato a Ferentillo (in provincia di Terni) che espone delle antiche mummie degli abitanti del paese.

Il museo venne creato alla fine del XIX secolo, quando scavi effettuati nella cripta della vecchia chiesa del paese portarono alla luce numerosi corpi mummificati, alcuni dei quali con gli abiti ben conservati. Con il passare degli anni però l’aria umida entrante dalle finestre iniziò a compromettere lo stato di conservazione, sia degli abiti che delle mummie stesse.

È proprio per evitare ulteriori danni e grazie al grande interesse suscitato dal fenomeno che nel 1992 è stato deciso di dar vita ad una nuova musealizzazione e di utilizzare nuove teche espositive per la conservazione dei corpi.
Prima di un editto napoleonico — l’editto di Saint Cloud — che trasferì i cimiteri al di fuori delle città, i morti locali venivano seppelliti all’interno della chiesa di Ferentillo situata nella parte di paese chiamata Precetto. Dal XVI secolo in poi, quindi, i corpi dei defunti del paese venivano inumati all’interno della cripta romanica sulla quale era stata eretta la chiesa cinquecentesca di Santo Stefano. La chiesa sorge ai piedi del monte S. Angelo lungo la piccola strada che porta all’antica rocca pentagonale del borgo di Precetto. A seguito dell’editto di cui sopra, esteso all’Italia nel 1806, solo nel 1871 (l’ultima sepoltura nella cripta è documentata infatti al 18 Maggio 1871[1]) i frati cappuccini, responsabili della cripta, decisero che si doveva procedere a disseppellire i cadaveri lì sepolti, e si scoprì che i corpi riesumati si erano quasi perfettamente conservati, talvolta ancora muniti dei vestiti con i quali erano stati sepolti, spesso ancora forniti di pelle, capelli, barba, peli e denti. I corpi in buono stato di conservazione rinvenuti furono moltissimi, ma in seguito a causa del disinteresse iniziale, delle mutate condizioni climatiche e di maldestre operazioni di mantenimento della conservazione, il numero dei corpi si ridusse a 25 circa. Nel 1887 l’Accademia dei Lincei pubblicò uno studio dettagliato sul curioso fenomeno della mummificazione dei corpi ad opera degli studiosi Carlo Maggiorani e Dott. Aliprando Moriggia, professori universitari, che, supportati dal chimico Vincenzo Latini, si dichiararono convinti che la mummificazione fosse da imputarsi al tipo di terreno ricco di silicati di ferro e di allumina, di solfato e nitrati di calcio di magnesio ed ammoniaca, alla ventilazione del locale ed alla presenza sulla pelle delle mummie di microrganismi che nutrendosi delle materie decomponibili dei cadaveri li essiccano velocemente. In seguito il terreno della cripta è stato analizzato nel tentativo di ricavare dati certi per consolidare le ipotesi formulate sul perché i corpi si siano mummificati, ma la ragione certa non è stata individuata; seguirono però tentativi sul processo di mummificazione con corpi di animali, che rivelarono il rapido processo di mummificazione del terreno della cripta. Sembra comunque probabile che a mummificare le salme sia un batterio che disidrata i corpi.
Ad oggi si contano 24 mummie umane (tre sono esposte presso il Museo Anatomico dell’Università di Perugia) che comprendono uomini, donne e bambini come pure 10 teste conservate, più di 270 teschi, una bara ancora sigillata e due volatili mummificati (uno di essi è un’aquila) a seguito di esperimenti effettuati nel secolo scorso. Durante gli ultimi interventi di pulitura e manutenzione della cripta sono state rinvenute delle sepolture nella sala antecedente la stessa, forse destinate ai non battezzati.

Si conosce la storia solo di alcune delle mummie esposte; le informazioni sono ricavate da racconti orali e ricerche negli archivi ecclesiastici.

Una particolare ricostruzione riguarda le mummie di due asiatici (riconoscibili dalla caratteristica fisionomia). Le leggende narrano di un ricco uomo e della sua sposa, probabilmente cinesi, in viaggio di nozze in Italia in occasione del Giubileo del 1750; dopo essersi ammalati, morirono a Ferentillo, dove furono sepolti nella chiesa del paese. La leggenda è supportata dalla presenza dei loro abiti, in buona condizione fino agli anni settanta

Altra curiosità riguarda il corpo custodito nell’unica bara ancora chiusa presente nella cripta. Si tratta di un avvocato del luogo ucciso da numerose pugnalate la cui mummia non viene esposta per rispetto nei riguardi dei discendenti dell’uomo ancora viventi e residenti a Ferentillo. Uno degli assalitori rimase anch’esso ucciso durante l’omicidio, e il suo corpo è esposto in una delle teche del museo.

Presenti anche le mummie di una giovane donna morta di parto sepolta insieme al feto nato morto, di una vecchia contadina con gli abiti ancora intatti, e di due soldati napoleonici scesi in Italia durante la campagna d’Italia del 1796-1797, entrambi mostrano segni di tortura, ed uno di essi venne impiccato. Ignota la causa dell’esecuzione.[4]

La cripta
La cripta della chiesa di Santo Stefano nasce a seguito della riorganizzazione urbanistica del paese voluta dai nobili Lorenzo e Franceschetto Cybo alla fine del XV secolo. Il progetto prevedeva l’edificazione di varie nuove chiese in tutto il territorio, e nello specifico di una dedicata a Santo Stefano, da costruirsi presso il Borgo di Precetto in un’area dove già sorgeva una chiesa medievale del XIII secolo. La vecchia chiesa preesistente però non venne demolita, ma fu invece utilizzata come base per le fondamenta della nuova costruzione. Essa fu riattata a cripta sepolcrale della chiesa “superiore”. La cripta venne quindi riempita con della terra derivante dai materiali di scarto della lavorazione della pietra utilizzata per edificare la nuova chiesa superiore, che andò a modificare il livello della pavimentazione originaria.

La cripta, lunga ventiquattro metri, larga nove ed alta circa due[5], presenta ancora oggi elementi architettonici ed artistici risalenti alla fase della chiesa medievale del XIII secolo. Sono ancora visibili l’antico portale di ingresso, i resti dell’abside che venne demolito per fare spazio ai pilastri, e resti di affreschi del XIV e XV secolo. Il pavimento è costituito dalla terra utilizzata per le sepolture resa compatta dalle infiltrazioni. Sul lato nord della chiesa si può notare la roccia viva a cui è appoggiata la costruzione.[1]

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